di Fabio Ferrari
Una recente sentenza della Corte costituzionale, la 269/2017, introduce un’importante novità in tema di rapporto tra diritto interno ed europeo. Al lettore non specialistico va premesso un punto. Come deve comportarsi il giudice italiano innanzi ad un’incompatibilità tra le regole dei due ordinamenti? Se le norme europee, per la loro conformazione, hanno efficacia diretta – sono cioè sufficientemente precise da risolvere direttamente il caso concreto, senza l’intervento mediatore del legislatore – il giudice italiano è tenuto a non applicare la norma nazionale con esse contrastante, garantendo così il primato delle prime. Se, al contrario, tale diretta efficacia manca, il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, la quale valuterà se annullare la norma interna.
La sentenza in esame, con piglio ricostruttivo e ben oltre la “domanda” contenuta nell’ordinanza di remissione, chiarisce il modo in cui il giudice deve comportarsi innanzi ad una particolare fonte europea: la Carta di Nizza. Si tratta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, redatta nel 2000 e successivamente incorporata nei trattati istitutivi riveduti e corretti a Lisbona (2007). La peculiarità di questo documento sta nel “tono” dei suoi precetti, essendo questi di chiara ispirazione costituzionale; proprio per questo, si caratterizzano per una costruzione delle norme a maglie sostanzialmente larghe, bisognose cioè di una intermediazione legislativa per la loro concreta applicazione.
Il punto sembra stare esattamente qui: non di rado è capitato che i giudici comuni, innanzi ad un presunto contrasto tra una norma interna ed un precetto della Carta di Nizza, non applicassero autonomamente il diritto nazionale per favorire la norma europea, considerando così quest’ultima dotata di efficacia diretta. Ciò ha destato una qualche preoccupazione, sia per la tendenza ad un’applicazione della Carta di Nizza oltre il regime di competenza dell’UE, sia per la difficoltà di concepire tali “ampie” norme ad effetto diretto. Forse è a ciò che la Corte ha voluto porre rimedio con la presente sentenza: in essa, dopo aver ricordato la natura sostanzialmente costituzionale della Carta di Nizza, ha precisato che un eventuale contrasto tra quest’ultima e il diritto interno deve essere risolto dalla Corte costituzionale stessa, non dal giudice comune, per tramite un giudizio di costituzionalità. Spetta dunque alla Consulta, non all’attività giurisdizionale diffusa sul territorio, accertare l’incompatibilità tra le due fonti in esame, con tutte le cautele che un tale approccio sembra suggerire in tema di inveramento “automatico” del contenuto della Carta di Nizza nella pratica del diritto.
Al contempo, è pur vero però che l’esplicito riconoscimento di una natura sostanzialmente costituzionale alla Carta di Nizza, se preso letteralmente, potrebbe integrare nel giudizio costituzionale i principi in essa contenuti, quantomeno nell’ambito del diritto di competenza UE, ispessendone solennemente il valore e il significato, ben oltre a quanto avvenuto sino ad ora per opera di qualche giudice comune. Il che, se per certi aspetti pare inevitabile, per altri impone quantomeno di interrogarsi sulla completa fungibilità tra le norme costituzionali e quelle della Carta di Nizza, considerata soprattutto l’attenzione che le prime – a differenza delle seconde – pongono alla tutela dei diritti sociali. È pur vero che è la stessa Corte a precisare che la compatibilità tra i due documenti – Corte costituzionale e Carta di Nizza – si riscontra «in larga misura», il che significa non esaustivamente. Tuttavia, quanto realmente sia ampia quella misura merita forse di essere discusso, se non altro per il recentissimo e noto caso Taricco: nonostante i toni formali e accomodanti dell’ultima pronuncia della Corte di giustizia sul punto (nella quale, proprio a stemperare la contrapposizione, si è richiamata una presunta vicinanza in tema di diritti fondamentali tra la Carta di Nizza e la Costituzione repubblicana), il conflitto è parso a tutti lapalissiano (Faraguna, Guazzarotti).
Nel complesso, sarà dunque molto interessante comprendere gli sviluppi futuri di questa pronuncia.