Pubblichiamo questo articolo del consigliere parlamentare Giampiero Buonomo perché, pur in un formato inusuale per i nostri articoli, ci pare assai rilevante per comprendere i temi che la Corte costituzionale affronterà nella camera di consiglio di martedì 12 dicembre in merito al conflitto di attribuzione sollevato da parlamentari del M5S contro le Camere di appartenenza, di cui abbiamo già scritto alcuni giorni fa.
di Giampiero Buonomo*
L’antico dilemma del diritto parlamentare gravita intorno al valore del precedente; ma forse, prima del valore, occorrerebbe porsi il problema della memoria del precedente.
È noto infatti che il Common law si vale di una serie di garanzie, in tema di stare decisis, che si fondano sulla divulgazione pubblica, mediante compilazioni private di grande autorevolezza: poiché le parliamentary rules determinano la scorrevolezza o meno delle procedure (nonché la possibilità di appigli ostruzionistici), un testo fondamentale come l’Erskine May è ripubblicato e periodicamente aggiornato, a cura della Camera dei comuni, a ben oltre un secolo dalla scomparsa del suo geniale autore.
Da noi, parlamentari “di lungo corso” hanno garantito, nel primo cinquantennio repubblicano, che la memoria storica non fosse solo mantenuta, ma anche declinata in successive decisioni procedurali (i cosiddetti “lodi”, per utilizzare una felice denominazione di tipo quasi giusprivatistico, resa famosa da Antonio Maccanico), che raffinavano il principio di diritto per approssimazioni successive.
Quando Nilde Iotti presidente della Camera enunciò il suo più noto “lodo”, la Camera dei deputati fronteggiava l’ostruzionismo del partito radicale contro i decreti-legge del governo Cossiga sull’ordine pubblico e la lotta al terrorismo. Sebbene fosse già fuori della maggioranza, l’antemurale del PCI contro le Brigate rosse era – e sarebbe rimasto fino alla fine – dettato dalla “linea Pecchioli”, per cui nessuna sponda fu offerta dalla Presidenza della Camera al partito radicale. Eppure, nella “corteccia cerebrale collettiva”, di tutti coloro che avevano vissuto i primi anni della storia repubblicana, era impressa la vicenda della “legge truffa” del 1953: l’uso della questione di fiducia – nel febbraio alla Camera e nel marzo al Senato – per privare il dibattito parlamentare del contributo costituito dalla discussione (e possibile approvazione) di proposte emendative, nonché per imporre la disciplina di schieramento (prevalendo sui rischi di una votazione a scrutinio segreto).
Tutte cose ammissibili, e confortate da prassi conforme, quando si versa in ambito di indirizzo politico di maggioranza, espresso dal rapporto fiduciario che astringe la maggioranza parlamentare al Governo. Ma tutte cose vissute come inammissibili, quando dall’indirizzo politico di maggioranza si passa all’indirizzo politico “costituzionale”[1]: non a caso – su quella forzatura di De Gasperi e Scelba – si era dimesso un presidente del Senato, non prima di aver dichiarato che capitolare alla richiesta del Governo non costituiva un precedente[2].
Ventisette anni dopo, la memoria storica del precedente indusse Nilde Iotti ad una precisazione, solo apparentemente inconferente mentre si trattava di decreti-legge: “la questione di fiducia, modificando in base all’articolo 116 l’ordinario procedimento di discussione e di approvazione dei progetti di legge, dà vita ad un iter autonomo e speciale, come confermato dalla sua stessa collocazione nella parte terza del regolamento”[3]. La nozione di “procedimento speciale” richiama una norma costituzionale ben precisa, cioè l’articolo 72 quarto comma della Costituzione: quella che prescrive il “procedimento normale” in ossequio a tutta una panoplia di valori costituzionali che pretendono, per essere conseguiti, un approccio parlamentare il meno possibile caratterizzato da “straordinarietà” procedurali.
Orbene, proprio mentre considerava “l’obbligo costituzionale della Camera di pronunciarsi comunque ed esplicitamente sulla fiducia”, Nilde Iotti riteneva necessario fare salvo un ambito – pure esso fondato sulla Costituzione – che, se possibile, richiede una condotta parlamentare “sotto il velo dell’ignoranza”, in ordine ai possibili tornaconti immediati. Proprio nel momento in cui, negli anni Ottanta, si prefigurava un approccio più “decisionista” alla gestione della cosa pubblica, ella sentiva ancor più necessario rafforzare l’argine, che impedisse sconfinamenti dalla politique politicienne nella forma di governo. Del resto, se “l’illustrazione degli emendamenti … assume pertanto il carattere di una discussione politica, tendente ad influire sullo stesso voto di fiducia”[4], allora l’endiadi “leggi in materia costituzionale ed elettorale” è sicuramente estranea alla possibilità di porre la questione di fiducia, per il banale motivo che non si può sacrificare la natura delle “regole del gioco” ad una “discussione politica”, durante la quale, in luogo dell’illustrazione degli emendamenti, viene meno il contributo della dialettica parlamentare.
Per un esempio virtuoso di “memoria del precedente”, assai opportunamente citato nei ricorsi per conflitto di attribuzioni nn. 5, 6 e 7 del 2017, la prassi parlamentare più recente conosce tanti altri esempi di smemoratezza. Quando si è trattato di applicare il “decreto Severino” ai senatori Berlusconi e Minzolini, ad esempio, sarebbe stato estremamente utile interrogarsi sulla natura della Giunta delle elezioni, per chiarire se da essa potesse derivare una q.l.c. con cui investire la Corte costituzionale. Le premesse per farlo c’erano tutte, visto che la medesima Giunta non più di quattro anni prima aveva fatto il punto della sua giurisprudenza, dichiarativa della propria natura di giudice a quo. Eppure, le relazioni della Giunta nella presente legislatura ignorano totalmente i precedenti del proprio ramo del Parlamento[5], riposando pressoché esclusivamente sui precedenti opposti della Camera dei deputati[6].
Non c’erano solo, da rispolverare, antichi argomenti dottrinari[7] sulla verifica dei titoli di ammissione e permanenza dei componenti del Senato, di cui all’articolo 66 Cost.; molto più vicini nel tempo e molto più attinenti alla questione, vi erano ben quattro precedenti del Senato che consideravano giurisdizionale l’attività della Giunta, e cioè:
- Documento n. XXXI della IV legislatura (Relazione sulla elezione contestata nella Regione della Lombardia – senatore Bruno Amoletti)[8]: “In relazione a quanto dispone l’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 – che fa riferimento alle questioni di legittimità costituzionale insorte “nel corso di un giudizio” – sono stati innanzi tutto riconosciuti dalla Giunta la natura giurisdizionale del procedimento contenzioso, che si instaura allorché una elezione venga contestata, e quindi il carattere, anch’esso sostanzialmente giurisdizionale, della funzione che Giunta ed Assemblea sono chiamate ad esercitare quando deliberano in materia”;
- Relazione 21 gennaio 2008 del senatore Manzione, all’esito dei lavori del Comitato inquirente per il Piemonte: “Qualora però la maggioranza della Giunta dovesse ritenerlo, si potrebbe dar corso all’ultimo possibile margine di valutazione che residua ad un organo di natura giurisdizionale in sede di applicazione della legge: se cioè la disciplina legislativa così ricostruita resista ad uno scrutinio di ragionevolezza, e nel dubbio valutare se sollevare d’ufficio questione di costituzionalità innanzi alla Corte costituzionale”[9];
- Lettura 20 ottobre 2008 del presidente Follini della deliberazione adottata dalla Giunta a seguito della contestazione dell’elezione del senatore Nicola Paolo Di Girolamo (circoscrizione Estero – ripartizione Europa): “visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 1, lettera b) della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (…)”[10];
- Relazione 1° luglio 2009 del senatore Mercatali sul ricorso Scotti contro Fasano: “Va risolta pertanto per la positiva la questione della configurabilità della Giunta come giudice a quo, il che tra l’altro è l’unico modo di dare corso alla previsione della la Corte costituzionale nella sentenza n. 16 del 2008, quando – rilevati “gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi” – ha dichiarato che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi”[11].
Anche in quest’ultimo caso (“La Giunta respinge l’ordinanza proposta dal relatore Mercatali”) all’ammissibilità in astratto della votazione non fa seguito un accoglimento della proposta di sollevare la q.l.c.: eppure, a dispetto del crescente consenso[12], è rimarchevole che proprio su questo ultimo precedente sia caduta la damnatio memoriae.
Si trattava del precipitato di riflessioni maturate sotto la Presidenza Follini, a fronte dell’inusitata impennata del contenzioso sulle leggi elettorali politiche nel corso del 2008: tra TAR Lazio, Consiglio di Stato e Corte di cassazione, la vicenda del “porcellum” aveva sollecitato riflessioni assai accurate, in termini di “zona franca” da evitare. Ciò valeva sia per la legge elettorale che il suo stesso autore aveva definito “porcata”, sia per le altre doglianze, che venivano valutate alla luce di un’attenta lettura delle pronunce giurisdizionali di quell’anno[13]: “il giudizio di costituzionalità instaurato dinanzi alla Corte in ragione dell’eccezione Scotti, fatta propria dalla Giunta, potrebbe anche consentirle di riprendere la questione ex professo (e non coi metodi indiretti di sottoposizione di quesiti alla Corte, censurati dall’ordinanza n. 284 del 2008 declaratoria dell’inammissibilità del conflitto di attribuzioni instaurato dall’onorevole Besostri) della soglia minima di voti e/o di seggi atta a far scattare il premio di maggioranza (esplicito o implicito che sia) e del suo rapporto con la soglia di sbarramento: laddove dalla Corte giudicata rilevante e non manifestamente infondata, essa verrebbe in esame mediante l’eccezione di costituzionalità innanzi a sé stessa”[14].
Il conflitto di attribuzioni tentato nel 2008 dal cittadino Felice Carlo Besostri non era, insomma, un fantoccio polemico contro cui scagliarsi, né l’antitesi di un argumentum per absurdum: era il sintomo (precisamente individuato, citando col numero e la data l’ordinanza della Corte) del rischio di ricadere nel paradosso del mugnaio di Potsdam. Se non si fosse acceduto alla possibilità – almeno in astratto – di creare una sede in cui valutare l’incidente di costituzionalità sulle leggi elettorali, la stessa impalcatura di quella inammissibilità sarebbe potuta crollare.
Lo Stato di diritto, all’interno dei Palazzi del potere politico, sin dalla sentenza n. 379 del 1996 non è più un ospite ammesso in punta di piedi: se la capacità autoregolatoria del diritto parlamentare intacca beni tutelati dal macro-ordinamento generale, riprende le sue ragioni la “grande regola”, come la definì il relatore di quella sentenza, Carlo Mezzanotte. La fattispecie della (asserita) lesione dei diritti degli ex dipendenti della Camera è bastata alla Corte per accordare – ad un organo interno alle Camere, costituito con regolamenti minori – natura di giudice a quo, consentendogli di sollevare una q.l.c. giudicata ritualmente ammissibile[15]: è mai possibile che un organo previsto dal Regolamento maggiore sia privo di questa facoltà?
Disattendere un precedente non è mai un’operazione neutra, in un micro-ordinamento giuridico di diritto pretorio (quale, tutto sommato, resta quello governato dalla procedura parlamentare): se Besostri ebbe torto nel 2008, è perché la zona franca si poteva e si doveva evitare. Se Besostri può avere ragione nel 2017, è perché non si è saputo o voluto cogliere quello spiraglio.
*Consigliere parlamentare
[1] Cfr. A. MANNINO, Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra governo e parlamento, Milano, Giuffrè, 1973, pp. 47 ss.; M. DOGLIANI, Indirizzo politico. Riflessioni su regole e regolarità del diritto costituzionale, Napoli, Jovene, 1985, p. 41.
[2] Il Presidente del Senato accolse la richiesta di De Gasperi con le parole: “Quindi questo non rappresenta un precedente” (seduta pomeridiana CMLIII della I legislatura del Senato della Repubblica, 8 marzo 1953, Presidenza del Presidente Paratore). Il medesimo Presidente il giorno dopo così ricostruì l’evento: “sen. FORTUNATI. Io so che secondo la prassi parlamentare, nel processo verbale normalmente le interruzioni non sono registrate. Mi pare, però, che nella seduta di ieri è partita da lei, onorevole Presidente, una interruzione, durante le comunicazioni del Presidente del Consiglio, di notevole rilievo e di estrema gravità. Mentre il Presidente del Consiglio parlava, ella, in maniera chiara e compresa da tutta l’Assemblea, così lo interrompeva: «Quindi questo non costituisce un precedente?». Io le chiedo, onorevole Presidente, che questa sua richiesta, che non ha avuto dal Presidente del Consiglio alcuna risposta, sia registrata a verbale. PRESIDENTE. Onorevole Fortunati, le posso garantire che nel resoconto stenografico questa interruzione è stata registrata. Comunque, il processo verbale sarà rettificato nel senso da lei richiesto. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato” (seduta antimeridiana CMLIV della I legislatura del Senato della Repubblica, 9 marzo 1953, Presidenza del Presidente Paratore).
[3] VIII Legislatura, resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati, 23 gennaio 1980, Presidenza della Presidente Iotti.
[4] VIII Legislatura, resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati 25 settembre 1980, Presidenza della Presidente Iotti (riconfermando testualmente l’allocuzione della medesima presidente Iotti nella seduta dell’Assemblea 23 gennaio 1980, cit.).
[5] Cfr. XVII LEGISLATURA, Senato della Repubblica, Doc. III n. 1, pagine 17-18 – RELAZIONE DELLA GIUNTA DELLE ELEZIONI E DELLE IMMUNITÀ PARLAMENTARI SULLA ELEZIONE CONTESTATA NELLA REGIONE MOLISE (Silvio BERLUSCONI) (…) § 3.2: “La prima questione – se la norma del decreto legislativo n. 235 del 2012 sia o no incostituzionale – presuppone la scioglimento di un quesito preliminare alla analisi sostanziale, se cioè la Giunta abbia un potere propositivo per la rimessione alla Corte costituzionale, se cioè la Giunta sia giudice a quo per la valutazione della possibile incostituzionalità della norma. Anche qui, a dispetto di pareri pro veritate di segno favorevole e della ultima difesa del senatore Berlusconi, è possibile ritrovare punti di vista differenti – il valore della coerenza del precedente tornerà più volte nella presente relazione – ed infatti va evidenziata la recente presa di posizione di questa Giunta nella riunione del 2 luglio 2013 ove si è perfezionata una opinione nel senso di escludere il rinvio di una legge alla Corte costituzionale. Ed è a tutti noto come, al netto del requisito della «terzietà» dell’organo remittente e dell’anomala assimilazione della Giunta ad un giudice, la decisione definitiva spetti all’Aula del Senato, il che conferma come la decisione alla quale questa Giunta è stata chiamata abbia natura provvisoria e non vincolante né decisoria. E sinceramente, nel rispetto che si deve al punto di vista contrario, il tentativo di superare questo dato inequivoco si rileva molto poco convincente e certamente inidoneo a disvelare una modifica del quadro giuridico e politico tale da consigliare un revirement di indirizzo a così poca distanza dal precedente di appena due mesi fa”. Questo ultimo rinvio alla decisione assunta su due “ricorsi” generali (Legislatura 17ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 3 del 02/07/2013 – VERIFICA DEI POTERI – I. Esame dei ricorsi di carattere generale relativi alla validità delle elezioni svolte sul territorio nazionale e degli atti elettorali propedeutici a tali elezioni § 2 – Ricorsi concernenti questioni di legittimità costituzionale) è di dubbia conferenza, quanto meno procedurale, visto che fuoriescono dall’ordito del Regolamento di verifica dei poteri del Senato (imperniato sui ricorsi regionali) e su di essi si addiviene ad un esame più propriamente assimilabile ai meri esposti (cfr. Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 2 del 04/06/2008 – VERIFICA DEI POTERI e Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 10 del 31/07/2008 – VERIFICA DEI POTERI e relativo allegato).
[6] Cfr. XVII LEGISLATURA, SENATO DELLA REPUBBLICA, Doc. III, n. 2, pp. 8-9 – RELAZIONE DELLA GIUNTA DELLE ELEZIONI E DELLE IMMUNITÀ PARLAMENTARI SULLA ELEZIONE CONTESTATA NELLA REGIONE LIGURIA (Augusto MINZOLINI) (…) § 3 (La natura dell’organo parlamentare e delle funzioni esercitate): “Tanto la Giunta quanto l’Assemblea hanno già affrontato in precedenti circostanze la tematica che verte sulla natura dell’organo parlamentare. Giova in queste sede richiamare sinteticamente le conclusioni cui si è pervenuti in quanto la natura dell’organo parlamentare incide inevitabilmente sulle scelte cui è chiamata in una prima fase la Giunta e, quindi, l’Assemblea. Secondo l’orientamento assunto in precedenza, la Giunta resta organo di carattere politico, sprovvisto di quelle attribuzioni indefettibili che, invece, connotano gli organi giurisdizionali. Pur in presenza di opinioni diverse, non può che tenersi conto delle scelte già operate secondo una costante e risalente prassi, secondo la quale il presente procedimento non ha natura giurisdizionale, con la conseguenza che né questa Giunta, né l’Assemblea del Senato della Repubblica, possano qualificarsi come giudici a quo ai fini dell’eventuale rimessione alla Corte costituzionale di questioni di legittimità costituzionale (si vedano la seduta notturna del 18 settembre 2013 della Giunta delle elezioni del Senato in cui furono respinte, rispettivamente, la questione preliminare concernente la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale con riferimento ad alcuni profili ritenuti rilevanti e non manifestamente infondati, e la questione preliminare concernente la possibilità di avanzare un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per dubbi di compatibilità col diritto dell’Unione europea, nonché le sedute della Giunta della Camera del 30 gennaio 1964, del 17 giugno 2009 e del 18 aprile 2002). Inoltre, si ricorda che la Giunta del Senato, nella seduta del 2 luglio 2013, sempre nell’ambito della verifica dei poteri, ha escluso la proponibilità di una questione di legittimità costituzionale”.
[7] Cfr. L. Elia, voce Elezioni politiche (contenzioso), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Milano, 1965, 790; S. Tosi, Diritto parlamentare, Milano, 1974, 63-65; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico9, I, Padova, 1975, 483; Virga, La verifica dei poteri, 1949, 17-33; Mazziotti, Osservazioni sulla natura dei rapporti fra la Giunta delle elezioni e la Camera dei deputati, in Giurisprudenza costituzionale, 1958, 428; Bianchi D’Espinosa, Il Parlamento, in Commentario alla Costituzione a cura di Calamandrei e Levi, 1950, vol. II, 34. Vedi anche, sempre per la tesi della giurisdizionalità della verifica dei poteri, interventi del deputato Calamandrei, in Atti Camera 22 giugno 1948, pag. 596 e 28 novembre 1950, pag. 24049.
[8] Atti parl. Sen., IV Leg., doc. n. 31, 17-23: la relazione terminava con un dispositivo in cui si proponeva l’annullamento della elezione «ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa dell’on. Amoletti» in ordine all’art. 19, comma 3 l. 6 febbraio 1948, n. 29 e agli art. 48-53 t.u. n. 361, cit. in relazione agli art. 3, 48, 51 e 57 Cost. Le conclusioni furono approvate dall’Assemblea del Senato (cfr. Atti parl. Sen. 10 marzo 1964, 5406) e trovarono conforto nella relazione sull’elezione contestata del senatore Stefanelli (Atti parl. Sen., V Leg., Doc. III, n. 3, 8 ss.), non discussa in Assemblea.
[9] § 6 dell’allegato al Resoconto sommario n. 68 del 21/01/2008 (Senato della Repubblica, Legislatura 15ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari). La relazione si segnala anche per il corretto utilizzo della tecnica delle citazioni dei precedenti parlamentari, che deve includere anche quelli contrari. Infatti, dopo aver sposato il precedente Amoletti nella nota 66 la relazione ricorda: “Di contrario avviso si mostrò la Giunta della Camera nella seduta del 30 gennaio 1964 (cfr. il resoconto sommario della Camera 30 gennaio 1964, 8, cui fa riferimento anche la relazione sul senatore Amoletti, confutandone gli assunti): la giunta respingeva una serie di reclami in terna di collegio unico nazionale considerando tra l’altro «che l’eventuale rinvio da parte della Camera alla Corte costituzionale dell’art. 83 t.u. n. 361, cit., ai fini del giudizio di costituzionalità, è da escludersi in base ai principi generali sull’autonomia degli organi costituzionali e sulle loro competenze». Come fa notare Elia, voce Elezioni politiche (contenzioso), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Milano, 1965, 789, n. 264, nella conseguente relazione Basile (Atti parl. Dep., IV Leg., doc. IX, n. 2, 3) la presa di posizione della Camera apparve meno decisa di quella assunta nella seduta del 30 gennaio 1964: si afferma, tra l’altro che «non sarebbe stato ammissibile né corretto affrontare e promuovere, da parte di un organo parlamentare, alcuna procedura per interessare formalmente del problema la Corte costituzionale. D’altra parte la giunta ha osservato che la difesa non ha fatto della questione di legittimità costituzionale una richiesta formale e preliminare, ma una tesi di merito, discussa in via subordinata». Su questa posizione di maggior cautela pare attestarsi anche un precedente del Senato della V legislatura, la relazione della Giunta sulla elezione contestata del sen. La Rosa (cfr. Atti parl. Sen., V leg., doc. III, n. 1, p. 4), dove si legge testualmente: «Poiché, come si è detto, la sollevata questione di illegittimità costituzionale è apparsa alla Giunta manifestamente e palesemente infondata nel merito, non appare necessario, neppure in questa sede, affrontare ex professo i suddetti problemi: in tal modo tutte le implicate questioni restano impregiudicate, senza costituire, in alcun modo, precedente. Pertanto, ove fosse sollevata in futuro una questione di illegittimità costituzionale che, in astratto, offrisse qualche elemento di fondatezza, in quella occasione la Giunta delle elezioni affronterà funditus le varie questioni attinenti alla proponibilità di questioni di legittimità costituzionale nelle varie fasi del procedimento elettorale politico. Le suddette precisazioni sono state fatte principalmente allo scopo di evitare che il silenzio al riguardo potesse far ritenere – anche sulla base del dispositivo adottato dalla Giunta – che siano pacifiche determinate tesi (circa la natura delle attività svolte dalle Camere in sede di contenzioso elettorale politico), le quali suscitano invece varie perplessità». Si tratta di un precedente citato da ultimo nella relazione sulla verifica delle elezioni senatoriali del 26-27 giugno 1983 nella regione Lazio (che si conclude con le parole “le sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale non sembrano sostenute da alcun apprezzabile argomento, di modo che non appare necessario affrontare ex professo la questione della legittimazione della Giunta a provocare l’intervento della Corte costituzionale: questione che rimane impregiudicata, e di cui la Giunta dovrà eventualmente occuparsi in futuro”), che fu presentata il 15 febbraio 1984 dal relatore Di Lembo e fu approvata il 12 giugno 1985 dalla Giunta delle elezioni del Senato (Atti parl. Senato, IX leg., seduta della Giunta del 12 giugno 1985)”.
[10] Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 16 del 20/10/2008: VERIFICA DEI POTERI. Discussione in seduta pubblica della elezione contestata del senatore Nicola Paolo Di Girolamo (circoscrizione Estero – ripartizione Europa).
[11] Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 37 del 01/07/2009 – VERIFICA DEI POTERI. Regione Campania; la relazione concludeva l’illustrazione del 20 maggio 2009 (accoglimento della proposta subordinata contenuta nel ricorso Scotti contro Fasano).
[12] L’esito del voto apparve assai più contrastato di quello del 21 gennaio 2008: il secondo Gruppo per consistenza numerica in Giunta annunciò voto favorevole alla proposta del Relatore (Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 37 del 01/07/2009 – VERIFICA DEI POTERI. Regione Campania), mentre l’anno prima “la Giunta, con i voti favorevoli dei soli senatori Manzione e D’Onofrio, respinge la proposta subordinata contenuta nella relazione per il Piemonte in ordine alla questione di costituzionalità sull’articolo 17 comma 6” (VERIFICA DEI POTERI – Esame congiunto delle regioni Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Campania, Lazio e Puglia).
[13] «Se è vero l’assunto dell’Ufficio regionale campano in ordine alla sua natura meramente amministrativa, spetta alla Giunta di svolgere, nella fattispecie, l’interpretazione “in prima battuta” della legge che in via ordinaria compete ai “giudici comuni” menzionati dalla Corte (§ 6.1 della sentenza 16 gennaio 2008 n. 16). Proprio la norma di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993 — nei cui confronti è sollevata l’eccezione di illegittimità — è quella in base alla quale si determinano i quozienti e, quindi, il riparto dei seggi a favore di ciascuna lista nelle regioni per il Senato, cioè le proclamazioni la cui legittimità viene in rilievo dinanzi alla Giunta in sede di giudizio sui titoli di ammissione dei componenti del Senato. Una doglianza in merito alla legge elettorale, nei termini di cui alla sentenza 16 gennaio 2008 n. 16, sarebbe impossibile se non dinanzi alla Giunta. Se le “vie normali di accesso” alla Corte richiedono l’esistenza di un giudice remittente, in via incidentale rispetto ad un giudizio, la Giunta o l’Assemblea del Senato, in sede di verifica dei poteri, non può che svolgere questa funzione, pena il diniego di ogni possibilità di portare la doglianza dinanzi al Giudice delle leggi. Va ricordato infine che l’antica questione della configurabilità della Giunta delle elezioni come giudice a quo è stata risolta per la positiva dal Senato, come dimostra l’accurata ed esaustiva disamina reperibile in Senato della Repubblica, XV legislatura, Giunte e Commissioni, 21 gennaio 2008, pp. 62-74. Anche la Presidenza della Giunta nell’attuale legislatura, il 7 ottobre 2008, ritenne che «la verifica dei poteri è qualificata come funzione giurisdizionale, da ultimo, dalla sentenza della Corte di cassazione (sezioni unite civili) 8 aprile 2008, n. 9151. Pertanto, deve darsi risposta risolutamente positiva al quesito – che pure in passato ha registrato conclusioni divergenti tra le due Camere e nelle stesse Giunte – se il Senato sia un “giudice”, in sede di esame dei titoli di un suo componente». Come rilevato in dottrina e dalla stessa Giunta nel 1964 «dal Senato può essere sollevata questione di legittimità costituzionale. Ciò potrà avvenire – d’ufficio o su eccezione di parte – quando ne ricorrano i presupposti: essi coincidono con quelli vigenti per ogni altro giudizio, cioè la rilevanza ai fini di causa e la non manifesta infondatezza» (Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 37 del 01/07/2009 – VERIFICA DEI POTERI. Regione Campania).
[14] Legislatura 16ª – Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari – Resoconto sommario n. 37 del 01/07/2009 – VERIFICA DEI POTERI. Regione Campania (sottolineatura aggiunta).
[15] Corte Costituzionale, sent. 12 ottobre 2017, n. 213 – Pres. Grossi – Est. Morelli: “Ritenuto in fatto – 1.− Nel corso di due giudizi – promossi da altrettanti gruppi di ex dipendenti della Camera dei deputati per ottenere l’annullamento della delibera 4 giugno 2014, n. 87, con la quale l’Ufficio di Presidenza di quella Camera aveva disposto la decurtazione delle pensioni dei ricorrenti, per l’importo e la durata stabiliti dal comma 486, ed il versamento dei correlativi risparmi all’entrata del bilancio dello Stato, con (implicito) riferimento a quanto previsto dal successivo comma 487, dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)» – l’adita Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati, premessane la rilevanza (in ragione della coincidenza di contenuto precettivo della delibera impugnata e delle richiamate disposizioni di legge) e la non manifesta infondatezza in riferimento agli artt. 3, 53 e (implicitamente anche) all’art. 136 della Costituzione, ha sollevato, con le due (pressoché identiche) ordinanze in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 486 e 487, della suddetta legge n. 147 del 2013. (….) Considerato in diritto – 1.– Con due ordinanze – che, per testuale coincidenza dell’oggetto e del petitum, preliminarmente si riuniscono – la Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati, ritenuta la «identità del contenuto precettivo» della delibera dell’Ufficio di Presidenza 4 giugno 2014, n. 87, innanzi a sé impugnata, con quello di cui ai commi 486 e 487 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», chiede a questa Corte di verificare la legittimità costituzionale delle due suddette disposizioni, che essa sospetta in contrasto con i precetti di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione e violative del giudicato di cui alla sentenza n. 116 del 2013. 2.− Preliminarmente va riconosciuta la legittimazione della Commissione rimettente a sollevare l’incidente di costituzionalità, come giudice a quo ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in quanto organo di autodichia, chiamato a svolgere, in posizione super partes, funzioni giurisdizionali per la decisione di controversie (nella specie, quelle appunto tra Camera dei deputati e pensionati suoi ex dipendenti) per l’obiettiva applicazione della legge (ex plurimis, sentenze n. 376 del 2001, n. 226 del 1976). (…)”.
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