di Roberto Bin
La Catalogna aveva scelto la strada dello scontro istituzionale avviando le procedure per lo svolgimento di un referendum che il Tribunale costituzionale spagnolo aveva giudicato incostituzionale; e, per di più, facendo approvare dal parlamento catalano, con una manciata di voti e con molte contestazioni politiche e denunce di illegittimità procedurali, alcuni provvedimenti legislativi diretti a dare immediata esecuzione alla decisione secessionista eventualmente uscita dal voto popolare e a disapplicare le leggi e la Costituzione spagnola. Il Governo spagnolo ha risposto con durezza inaudita a un atto inaudito di disobbedienza costituzionale (che è stato definito, non senza ragione, “un colpo di stato costituzionale”). L’inizio di un dramma, abbastanza inutile, ma che ha una lunga storia alle spalle (per una rapida ma attenta analisi, si può leggere un interessante articolo in francese).
Il referendum veneto (e lombardo) non è affatto così drammatico. La Corte costituzionale aveva dichiarato illegittime due leggi venete che prevedevano una serie di referendum dal tenore più o meno apertamente secessionista. Un unico referendum era sopravvissuto al controllo di costituzionalista (a cui non erano sopravvissuti neppure precedenti leggi referendarie venete e lombarde), ed è sopravvissuto grazie alla sua perfetta inutilità: “il quesito referendario non prelude a sviluppi dell’autonomia eccedenti i limiti costituzionalmente previsti” (sent. 118/2015), è un modo cortese per dire, appunto, che si tratta di una consultazione il cui esito non produce alcuna conseguenza giuridica. A che serve chiedere al corpo elettorale se è favorevole o contrario a che il Presidente della Regione svolga una funzione che già la Costituzione lo autorizza a svolgere?
La legge regionale 15/2014 disponeva un percorso preciso: il primo passaggio avrebbe dovuto essere una trattativa con il Governo, tramite la quale si sarebbe dovuto definire il pacchetto di nuove funzioni da riconoscere alla Regione Veneto, sul quale si sarebbe dovuto poi consultare il corpo elettorale (questa la lettera della legge veneta: “Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad instaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto”). Se poi il negoziato non fosse andato a buon fine, il Presidente della Giunta avrebbe potuto promuovere un referendum con diversi quesiti, di cui l’unico ammesso dalla Corte costituzionale è il seguente: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.
Un modo curioso di procedere, come avevo già avuto modo di osservare, perché l’art. 116.3 Cost. prevede già che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possano essere attribuite alle regioni ordinarie con legge dello Stato frutto di una negoziazione tra il Governo e il presidente della Regione, per iniziativa di quest’ultimo. Consultare il popolo veneto in caso di fallimento del negoziato dovrebbe servire dunque solo a chiamare gli elettori a sostegno delle richieste già avanzate invano dal loro Presidente. Ciononostante la legge regionale 7/2017 rifinanzia l’organizzazione del referendum, sempre precisando però che “Il Presidente della Giunta regionale, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa di cui al comma 2, è autorizzato ad indire il referendum di cui all’articolo 1 con oneri a carico della Regione”.
Ma il Presidente Zaia decide di abbreviare questo procedimento, saltando la fase di negoziato con il Governo, benché il Governo si fosse più volte dichiarato disponibile ad aprire tale negoziato.
Si deve notare che la legge regionale serve anche a finanziare l’operazione, con uno stanziamento che a quanto pare supera i 14 milioni di euro. È un’autorizzazione di spesa destinata allo svolgimento di un referendum (e soprattutto della relativa campagna propagandistica) che è facoltativo (il presidente “è autorizzato”) ed è preceduto da una fase procedurale necessaria (il presidente “è autorizzato a instaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto di un referendum…). La domanda a cui dunque bisogna rispondere non può che essere questa: è iniziato il negoziato? La risposta è no.
È vero che la delibera della Giunta veneta n. 315 del 15 marzo 2016 aveva approvato un denso documento di possibili richieste “per attivare il negoziato con il Governo al fine del referendum regionale per il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto”, ma, dando mandato al Presidente “di instaurare il negoziato con il Governo”, gli demandava anche contestualmente il compito “di indire il referendum consultivo secondo le modalità previste dalla legge regionale n. 15/2014 ”. Il Governo, contattato da Zaia, si dichiara disponibile al negoziato, ma Zaia (assieme a Maroni, presidente della Lombardia) replica chiedendo di fissare l’election day in cui celebrare anche il referendum regionale. Questo era l’obiettivo prioritario.
Già in un dibattito dello scorso febbraio, cui la stampa veneta (vedi Il Mattino di Padova o Il Corriere del Veneto) ha dato grande risalto, il ministro Enrico Costa ha caldeggiato l’avvio del negoziato; ma il presidente del Veneto Luca Zaia è deciso a procedere per altra strada: “Voglio essere chiaro una volta per tutte… noi negozieremo con il Governo dopo il voto referendario, che avverrà in ogni caso entro il 2017”. E supporta questo suo proposito con alcune argomentazioni “tecniche” francamente curiose (da me già esaminate altrove).
Sta di fatto che ormai ci siamo, il referendum è indetto per il 22 ottobre 2017. Alcuni cittadini hanno fatto ricorso al TAR denunciandone l’illegittimità (oltre alla mancanza dei presupposti, avendo Zaia rifiutato di avviare il negoziato, c’è il problema della formulazione del quesito, che è vago, non essendoci un’indicazione di quali siano le funzioni che si vorrebbero attratte in Regione; ma poi c’è soprattutto la questione delle garanzie di una corretta conduzione della campagna elettorale, costosissima visto l’ingente somma stanziata dalla legge regionale: su questo aspetto, che mi sembra di particolare rilievo, rinvio a un mio commento). Però il TAR ha respinto il ricorso cautelare, sulla base di una semplice constatazione: perché “il risultato referendario non ha alcuna efficacia vincolante”, e quindi non c’è alcun pregiudizio per i ricorrenti (vedi il commento di Ferrari). Anche il ricorso al giudice civile, che dev’essere deciso in questi giorni, non ha molte speranze di essere accolto, sebbene non mancherebbero diritti individuali incisi dalla mancanza di garanzie di par condicio nello svolgimento della costosissima campagna elettorale.
Quindi non c’è un giudice che possa far valere la responsabilità di un’amministrazione che butta letteralmente milioni di euro per sostenere un evento che altro non è che un’occasione per fare propaganda politica, senza garanzie di imparzialità né attesa di risultati che abbiano un minimo di effetto benefico per la collettività? Si, ci sarebbe, è la procura della Corte dei conti regionale. Sempre molto attenta a frugare nelle pieghe della spesa pubblica – per esempio per controllare il motivo per cui un consigliere regionale ha chiesto il rimborso di un pedaggio autostradale di pochi euro – davvero può restare indifferente davanti a un così evidente e ingente spreco del danaro pubblico? È vero che a monte c’è una decisione politica – le legge regionale – che stanzia tutti quei quattrini: ma se poi in fase di attuazione della legge l’amministrazione procede in forme diverse da quelle previste dalla legge, non rispettando i presupposti che essa indica per l’indizione del referendum; e se, proprio per questa ragione, il referendum risulta perfettamente inutile, è possibile che la Corte dei conti resti del tutto indifferente? Ci sono troppe cose che gridano vendetta.
Assieme alla legge 15/2014, che prelude all’attuale referendum, la Regione aveva approvato anche un’altra legge, la legge 16/2014, con cui si obbligava (non semplicemente autorizzava) il Presidente a indire un referendum consultivo “per conoscere la volontà degli elettori del Veneto sul seguente quesito: «Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o No?»”. Naturalmente la Corte costituzionale lo ha bocciato sonoramente con la stessa sentenza che ammetteva il referendum attuale. A seguito di questa sentenza, la Giunta regionale deliberava nel novembre 2015 di procedere alla restituzione delle “somme versate dai cittadini e imprese destinate al finanziamento del referendum consultivo per l’indipendenza del Veneto”. Una cifra irrisoria (in tutto euro 114.914,88), ben lontani dai 14 milioni che le legge riteneva necessari e che avrebbe voluto finanziare integralmente con “erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini ed imprese”. Ma pur così esigue, queste somme, la cui raccolta è iniziata dopo che il Governo aveva già impugnato la legge regionale, vanno restituite e perciò la Giunta dispone che vengano assegnate “almeno 2 nuove unità di personale qualificato, con specifica competenza in materia economico finanziaria, per le attività esecutive correlate a quanto sopra descritto”. Un bel modo di sprecare le risorse umane della Regione.
Nella motivazione di questa delibera, il proponente (il vicepresidente della Regione, Forcolin) ci tiene a precisare che la delibera non intacca “minimamente la ferma volontà di esperire ogni azione giuridica, anche in relazione alla recente esperienza referendaria in Catalogna, affinché possa essere riconosciuta al Veneto ogni forma e condizione particolare di autonomia”. Qualcuno sta giocando con cose troppo serie e sta usando l’amministrazione pubblica e le risorse collettive per finanziare questo gioco. Non sarebbe male che la Corte dei conti se ne accorgesse.
Sono perfettamente d’accordo con quanto qui sostenuto . Come testimonianza civile in data 24 agosto ho redatto un documento dal titolo “Regione Veneto-Il Referendum Farlocco” che oggi è costituito come uno dei 4 Comitati su 22, (sic!) che si battono per dimostrare -con dovizia di informazioni riscontrate su atti e dati regionali – l’inutilità e lo spreco di risorse pubbliche regionali.
Chi è interessato ad approfondire la questione può accedere al sito in fb https://www.facebook.com/referendumfarlocco/ oppure accedere direttamente al sito http://www.dinobertocco.it/ scorrere l’home page fino ad incontrare l’icona “Diario Politico” dedicata al ” Referendum Farlocco”. Vi sono almeno quattro punti critici che meritano di essere approfonditi: a) la perfetta consapevolezza che l’attuale Presidente ha della procedura dell’art. 116 comma 3 fin dal 2006, b) la volontà dimostrata di scegliersi una strada distinta e distante da tale iter attraverso norme regionali cassate , dalla Corte Costituzionale ovvero 5 quesiti referendari su 6 c) la ferrea determinazione dimostrata nel saper e voler disattendere le decisioni della sentenza nr. 118/2015 , leggasi i paragrafi : 6.1 nella definizione , data dalla stessa difesa regionale , che il referendum richiesto debba considerarsi alla stregua di un “sondaggio formalizzato” . Essendo lo strumento prescelto, ossia l’istituto referendario cosi come risulta disciplinato in sede regionale alla stessa stregua e nella legge nr. 16/2014 e nella legge nr. 15/2014 nella quale vige l’ unico quesito sottoposto a valutazione dei cittadini sui cinque previsti, non si capisce la ragione del perché il pubblico erario debba sostener le spese di un’intervista estesa a tutto il corpo elettorale veneto. Se è un “sondaggio” la ricerca di mercato alias consenso, va fatta pagare al committente (la Lega ed affiliati) non agli intervistati, ovvero i cittadini-contribuenti.
Nel paragrafo 8.3 la Corte , pur ammettendo il quesito “farlocco” risponde alla domanda (di evidenza lapalissiana) che manca l’oggetto cui si applica il quesito, quindi interpreta e prescrive che le materie oggetto del quesito non possono che essere le tre lettere del secondo comma e quelle indicate dal terzo comma dell’art. 117 Costituzione vigente. In relazione a ciò, si riscontra dal sito della Giunta Regionale attivato per l’occasione ( http://www.regione.veneto.it/web/referendum-autonomia-veneto/normativa) che non solo la sentenza non è affatto inserita in modo integrale nella sezione normativa ( da qui una puntuale lettera già inviata a nome del Comitato al Presidente pro-tempore in data odierna). Ancora, il fac- simile di scheda elettorale non riporta alcun richiamo all’art. 117, fregandosene bellamente di ciò che ha statuito il giudice delle leggi in termini inequivocabili . Il Presidente di una Regione è tenuto ad applicare una sentenza che riguarda l’Ente rappresentato ? Circa il contenuto del tutto evocativo ed emozionale del quesito veneto , rispetto a quello lombardo , leggasi la comparazione segnalata nella prima parte del doc già citato; qui (in Veneto) siamo di fronte alla domanda “Vuoi bene alla mamma?” d) Leggasi i paragrafi 8.4 ed 8.5 laddove sono cassate le richieste regionali di trattenersi l’80 % delle tasse e dei tributi riscossi in Veneto e si compari questa parte della sentenza della Corte con l’art. 56 dell’allegato A) dgr. nr. 315 del 15 marzo 2016, laddove è attivato l’iter -in base alla l.r. nr. 15/2014- di concordare i contenuti dell’oggetto del negoziato. Ebbene si scoprirà che la percentuale di compartecipazione al gettito fiscale richiesto dalla Regione del Veneto allo Stato è elevata al 90% . Il Presidente pro-tempore dimostra di osservare la sentenza della Corte ? Ha un atteggiamento di “leale collaborazione” ? Oppure usa l’istituzione regionale per altro ? Inoltre si esamini le ragioni descritte nella premessa narrativa al DP nr. 50/2017 (rinvenibile nel sito regionale già citato) si focalizzi il richiamo al diniego (sic!) contenuto nella lettera di “avvio delle procedure di negoziato” fatte dal Ministro E Costa il 16 maggio 2016 e si prendano in considerazione i seguenti aspetti. Una lettera di un Ministro senza portafoglio è sufficiente per motivare un ricorso alle urne che costa , allo stato dei capitoli di spesa del bilancio regionale , 13.510.000,00 ? Da marzo 2016 ad aprile 2017, essendo le materie di cui all’allegato a) dgr citata, molteplici ed afferenti numerosi dicasteri, quali sono stati i contatti avuti con i titolari dei medesimi oppure i tavoli tecnici attivati per definire gli ambiti , le procedure, le quote di risorse trasferibili . Infine è mai esistita una risposta collegiale del governo oppure tutto si limita all’apertura -11 mesi dopo- della procedura negoziale ex art. 116 comma 3 per il tramite del succitato ministro al quale il Presidente pro-tempore del Veneto ha risposto con l’indizione del referendum “farlocco” ?
Cari signori,
in democrazia conta il voto del popolo, sarà il popolo, con il proprio voto, a sancire se questo referendum serve o è inutile.
Ed il proprio voto, il popolo, lo esprimerà il giorno 22 ottobre 2017.
Tornerò a leggervi dopo quella data.
Nel frattempo se democraticamente siete convinti che questo referendum non sia uno strumento di democrazia, andate nelle piazze di tutto il Veneto a spiegarlo ai cittadini e vedete cosa vi dicono.
La percentuale di votanti al referendum di domenica 22 ottobre , in Veneto, è stata pari a quella verificatasi in occasione delle elezioni regionali del 2015, ovvero una partecipazione attiva del 57,2% ed un’assenza dal voto del 42,8%. Le situazioni erano del tutto differenti, in una si trattava di eleggere i rappresentanti in Regione, nella seconda di rispondere positivamente al quesito approvato da tutti i partiti presenti in Consiglio Regionale. A dire il vero nel non voto di domenica scorsa vanno inclusi anche i No e le schede bianche, cosi che il diniego al quesito arriva ad un 45% (44.8%). È sicuramente compito degli esperti sondare ed indagare la molteplicità e varietà delle relazioni tra i due accadimenti, difficile non convenire che il perimetro della partecipazione democratica è rimasto invariato. E’ appena il caso di segnalare che tutti i partiti presenti in Consiglio Regionale avevano votato, tranne 1 (un) Consigliere, a favore dell’indizione del referendum nonostante la sonora bocciatura di ben 5 su 6 quesiti sottoposti alla Consulta.
Alcune questioni sarebbero da non rilanciare, ad esempio quelle oggetto di bocciatura da parte della Consulta nel 2015. Il riferimento va a: Indipendenza e Sovranità, Statuto Speciale, Tasse e Tributi nella misura dell’80%. Il rischio è di impaludarsi ancor prima di partire, dato che il percorso è ancora lungo e accidentato: proposta da discutere con le parti sociali e quindi in Consiglio Regionale, intesa da raggiungere con il Governo, approvazione in entrambi i rami del Parlamento. Soprattutto le fasi due e tre sono ad alto rischio, in particolare la terza dato che -nella prossima primavera- si eleggeranno i nuovi deputati e senatori della Repubblica.
A contrario la leadeship leghista imperterrita continua nella sua strada: ripresentazione di ben tre progetti di legge che chiedono la ripetizione del quesito ” Vuoi il Veneto Repubblica Sovrana ed Indipendente ?”ed il “Veneto Statuto Speciale ?” ed infine nella proposta di legge d’inziaitiva statale per la trattativa con il Governo nelle materie ex-art. 117, al Veneto spetta una compartecipazione nelle tasse riscosse pari al 90% .
La sceneggiata (detta anche comunicazione per ottenere il consenso del popolo) andrà in onda fino a marzo 2018, dopo dichè su tutto l’affaire calerà -probabilmente- un penoso silenzio come del resto già successe già nel 2008. Certo i Veneti hanno votato ed hanno votato SI al 98%, ma per quale scopo ? Chissà, forse servirebbe un altro referendum ricognitivo oppure uno sufficit ?