di Roberto Bin
Tutto il mondo si indigna per l’annuncio di Trump di voler ritirare gli USA dall’Accordo di Parigi sul clima, diventato effettivo dal novembre 2016, pochi giorni prima dell’elezione di Trump, e sottoscritto praticamente da tutti gli Stati del mondo. E allora?
L’Accordo di Parigi pone obiettivi, non obblighi o vincoli. Secondo il predecessore di Trump, Obama, la legislazione già in vigore negli Stati Uniti avrebbe consentito di raggiungere in tempo gli obiettivi. E allora, la solenne, provocatoria e per molti versi infondata dichiarazione di Trump a che cosa serve? A nulla, di per sé. Quello che Trump dovrebbe fare è smantellare le politiche pro-ambiente già varate da Obama, ma per questo ci vogliono atti e, probabilmente, leggi. Solo se si abrogano queste si può impedire di migliorare l’ambiente, ritirarsi dall’Accordo invece non serve a nulla, come mette in evidenza Eric Posner. Può Trump avventurarsi su questa strada senza un consenso politico nel Congresso americano? E se anche ci fosse questo consenso, basterebbe?
L’annuncio di Trump ha provocato una forte reazione negli Stati Uniti. Molti gruppi sociali, molte industrie importanti, molte università, molte città e alcuni governatori hanno reagito e sono persino giunti a chiedere all’ONU, guidati da Michael Bloomberg (ex sindaco di New York ed ex leader repubblicano), di negoziare un piano per consentire di raggiungere, anche senza l’intervento dello Stato, gli obiettivi assegnati agli USA nell’ambito dell’Accordo. “Mentre il governo degli USA parla per la nazione in questioni di politica estera, non può per molti aspetti decidere se e come gli USA agiscono in merito al mutamento climatico – scrive Bloomberg – il grosso delle decisioni sul tema sono realizzate dalle città, dagli stati, dalle imprese e dalla società civile. E nell’insieme questi attori restano fedeli all’accordo di Parigi”.
Tocqueville sorriderebbe, perché questa era l’America che lo aveva affascinato.