Concorso musei: un diverso parere

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di Vincenzo Caputi Lambrenghi*

Una sola conclusione dopo le polemiche roventi sull’annullamento da parte del TAR Lazio dell’esito di cinque tra le venti procedure di nomina per concorso dei direttori dei maggiori Musei italiani.

Con un decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo emanato poco prima del bando di concorso, che data al 7 gennaio 2015, è stato previsto che una “Commissione di valutazione” applicasse i punteggi previsti nel decreto ministeriale per ciascuna categoria di titoli ai singoli candidati; successivamente la Commissione, mediante un colloquio conclusivo della fase giuridica del procedimento, avrebbe dovuto svolgere il compito di selezionare una terna di candidati, come previsto dall’art. 5 del bando, da sottoporre alla scelta di opportunità anche politica del Ministro o del Direttore generale del Ministero.

Sta di fatto che il colloquio che consente alla Commissione di attribuire fino a venti punti, sui cento previsti nel complesso, è stato svolto per ciascun candidato ammesso alla finale prova colloquiale a porte chiuse.
Il Ministro dei beni culturali e del turismo, di fronte ai cinque annullamenti del TAR Lazio, si è immediatamente adirato, parlando agli italiani in televisione di una procedura lodata in tutta Europa e dell’insostenibilità degli interventi del giudice amministrativo.
Il Segretario del partito di maggioranza, a sua volta, ha espresso il compiacimento per la riforma della struttura del Ministero, dolendosi nell’occasione che il suo Governo non avesse fatto in tempo a riformare anche i TAR (istinti di vendetta?).

Il Ministro:

1) ha subito annunciato appello al Consiglio di Stato;

2) altrettanto presto ha nominato cinque direttori ad interim in sostituzione di quelli che hanno visto annullata la propria nomina;

3) ha ottenuto dal Governo, in occasione della manovrina, l’inserimento di una norma specifica che autorizza la nomina al vertice di musei o istituzioni culturali italiane dello “straniero”;

4) ha presentato, mediante l’Avvocatura dello Stato, il ricorso in appello al Consiglio di Stato contro la sentenza.

Senonché:

5) l’appello al Consiglio di Stato era preceduto da una forse inopportuna istanza di provvedimento presidenziale, che,  con decreto di somma urgenza ed inaudita altera parte, avrebbe dovuto sospendere immediatamente l’efficacia dell’annullamento pronunciato dal TAR del Lazio in ordine alle nomine di cinque sfortunati direttori di museo.
Senonché, il Presidente della Sez. VI del Consiglio di Stato, adito dal Ministero, ha rilevato l’inesistenza dell’urgenza dal momento che il Ministro aveva già provveduto alla nomina di cinque direttori interinali, respingendo soprattutto per questo motivo l’istanza di decreto d’urgenza.

Un errore dietro l’altro.

Ma la porta chiusa nella prova orale di una selezione pubblica inficia, più esattamente rende del tutto inutile, la pretesa di legalità e dovrebbe indurre chi l’ha prevista a scusarsi con tutta l’Europa per la brutta figura.

6) L’Autorità anticorruzione non sembra sinora intenzionata ad intervenire.
Eppure l’errore è grave, se è vero che la porta chiusa consente -beninteso, in astratto- ad una Commissione valutatrice di un concorso pubblico al termine di una prova colloquiale di negare e di attribuire punteggi spettanti o nella stessa misura non spettanti al candidato.
Le selezioni orali nella pubblica Amministrazione sono sempre pubbliche: gli stessi candidati hanno diritto di assistere alle prove degli altri concorrenti e l’adempimento ad un obbligo di trasparenza pone ormai tutte le pubbliche Amministrazioni italiane nella condizione di dover esprimere oggi un profondo dispiacere in casi come quello registrato dal Tar del Lazio, giudice che evidentemente non poteva non annullare un prodotto di segretezza.

Piuttosto che adirarsi, il Ministro si sarebbe forse meglio speso, nell’occasione, se si fosse scusato, oltre che con i candidati ammessi al concorso, vincitori e vinti a porte chiuse, con tutti gli italiani ed anche con le antenne internazionali che hanno plaudito alla riforma del settore da lui presieduto.
C’è da temere che se per far funzionare sotto la guida del Ministro la macchina ministeriale dei beni e delle attività culturali e del turismo sia necessario che i principali suoi collaboratori vengano reclutati nel corso di un colloquio a porte chiuse, sembra a mio sommesso avviso non azzardato concludere che le speranze di buona amministrazione di quelle che sono le testimonianze della nostra civiltà contenute nei beni culturali sono affidate al caso fortuito: anche da una porta chiusa, infatti, potrebbe sortire il miglior direttore del Museo, ma la violazione della legalità e l’abuso peserebbero comunque sul prestigio che in quella veste egli dovrebbe conquistarsi, nella popolazione anzitutto, per essere degno di presiedere un grande Museo italiano.
Dovremmo spiegare le ragioni di questa conclusione anche al malcapitato direttore “straniero”.

* Ordinario di Diritto amministrativo

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