Il Presidente Trump, invece di resistere nella difesa del suo executive order che imponeva un bando all’ingresso negli USA a chi proviene da sette Stati a prevalenza islamica, sospeso da due giudici di distretto con decisione confermata in appello, ha emanato un nuovo order, che riformula il bando (si può leggere qui il testo ufficiale). Ma anche questo order è stato sospeso dal giudice Derrick Watson, della Corte di distretto della Hawaii. La decisione emanata il 14 marzo 2017 reca una motivazione alquanto lunga e ampiamente confortata da riferimenti storici (e documenti fotografici) e si conclude denunciando “il rischio che ancora una volta i valori fondamentali della nazione siano sacrificati per paure e pregiudizi, sacrificio che la storia ha ripetutamente dimostrato produrre gravi conseguenze sia per le persone che le hanno subite sia per l’immagine ancora scintillante della citta splendente sulla collina” (immagine evangelica tratta dal Discorso della montagna).
La stampa testimonia la reazione assai irata di Trump, che ha denunciato il “travalicamento senza precedenti” compiuto dai giudici (“an unprecedented judicial overreach). E molti suoi supporter hanno notato che il giudice Watson, non solo era stato nominato da Obama, ma era uscito dalla stessa scuola di diritto di Harvard dell’ex-presidente, che proprio in quei giorni si trovava alle Hawai. Ma la decisione del giudice di Honolulu, per altro molto stimato e considerato un moderato, è stata seguita da analoga decisione di un altro giudice federale, questa volta del Maryland, Theodore D. Chuang. Però anche di lui si è subito denunciata la nomina da parte di Obama e la vicinanza con le organizzazioni pro-immigrazione.
Oltre allo scontro tra l’esecutivo e i giudici, anche tra i giudici la vita non è serena. Molto si discute dell’opinione dissenziente sollevata da alcuni giudici, capeggiati dallo stimatissimo Chief Judge Alex Kozinski, del 9 Circuito di Washington contro la decisione di questa Corte che aveva respinto l’impugnazione proposta da Trump. Nel frattempo si sta svolgendo l’audizione di conferma del giudice Gorsuch, che Trump vorrebbe nominare alla Corte suprema, così assicurando in essa una solida maggioranza di conservatori. L’audizione si svolge in Senato, ed è stata definita un esempio di teatro kabuki, dove il ruolo delle parti è fisso e scontato: Gorsuch cerca di non cadere nei tranelli tesi dai senatori che vorrebbero estorcergli compromettenti prese di posizione sulle questioni più calde, quali, appunto, quelle sull’immigration ban. E’ difficile però che un giurista dell’esperienza di Gorsuch si lasci sfuggire opinioni più compromettenti di generiche banalità, come “no man is above the law”.
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