Una recente sentenza della Cassazione penale conferma alcune importanti questioni che riguardano Facebook. Un messaggio postato su Facebook può senz’altro configurare un’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595.3 del cod. pen. (offesa recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, con pena della reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a euro 516), perché l’offesa può raggiungere una platea indeterminata: ma Facebook va configurato come ‘qualsiasi altro mezzo di pubblicità’ e non come ‘stampa’, anche interpretando questo termine in modo da includervi anche le testate giornalistiche on-line.
La differenza è importante, perché non si estende alla diffamazione tramite i social la ben più grave sanzione prevista dalla legge sulla stampa (art. 13 della legge 47/1948), che prevede una pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000.
Ecco la sentenza:
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4873 Anno 2017
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE
Data Udienza: 14/11/2016
SENTENZA
sul ricorso proposto dal PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di
IMPERIA
nel procedimento a carico di:
MANDUCA Agrippino, nato Grammichele (CT) il 16/08/1947
avverso la ordinanza del 11/11/2015 del GIUDICE DELL’UDIENZA PRELIMINARE
presso il TRIBUNALE di IMPERIA
….
2. Nel merito della questione, stima, peraltro, questa Corte che il giudice
dell’udienza preliminare non abbia neppure qualificato erroneamente il fatto
contestato all’imputato. Infatti, se, come ripetutamente affermato nella
giurisprudenza di legittimità, anche la diffusione di un messaggio diffamatorio
attraverso l’uso di una bacheca ‘facebook’ integra un’ipotesi di diffamazione
aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, cod. pen., poiché questa modalità di
comunicazione di un contenuto informativo suscettibile di arrecare discredito alla
reputazione altrui, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero
indeterminato di persone, perché attraverso questa ‘piattaforma virtuale’ gruppi
di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero
indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 5, n. 8328
del 13/07/2015 – dep. 01/03/2016, Martinez, non massimata sul punto), tuttavia,
proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante, in una
con la loro finalizzazione alla socializzazione, sono tali da suggerire l’inclusione
della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca ‘facebook’ nella
tipologia di ‘qualsiasi altro mezzo di pubblicità’, che, ai fini della tipizzazione della
circostanza aggravante di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen., il codificatore ha
giustapposto a quella del ‘mezzo della stampa’ (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015
– dep. 08/06/2015, Conflitto di competenza, Rv. 26400701).
3. L’interpretazione proposta dal Collegio si pone, peraltro, in linea di
continuità con la soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte,
che, nella sentenza n. 31022 del 29/01/2015 – dep. 17/07/2015, Fazzo e altro,
Rv. 26409001, dopo avere affermato la legittimità di una interpretazione evolutiva
e costituzionalmente orientata del termine “stampa” – così da estendere alle
testate giornalistica telematiche le guarentigie di rango costituzionale e di livello
ordinario assicurate a quelle tradizionali in formato cartaceo – hanno ritenuto
necessario chiarire che l’esito di tale operazione ermeneutica non può riguardare
tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero
(forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), ma deve
rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che
li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio.
Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che: «Deve tenersi ben distinta
l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata
giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed
informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo», ed ha concluso,
quindi, con il precisare che: «Anche il social-network più diffuso, denominato
Facebook, non è inquadrabile nel concetto di “stampa”», essendo: «un servizio
di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di
programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama
di relazioni tra più persone all’interno dello stesso sistema».
Da qui la correttezza della qualificazione giuridica del fatto compiuta dal
giudice nel provvedimento impugnato, che ha ineccepibilmente ritenuto essere il
delitto di diffamazione contestato all’imputato aggravato dalla sola circostanza
prevista dall’art. 595, commi 2 e 3, cod. pen. – offesa arrecata mediante
l’attribuzione di un fatto determinato con un qualunque mezzo di pubblicità – e
non anche da quella prevista dall’art. 13 L. n. 47/1948 – attribuzione di un fatto
determinato con il mezzo della stampa -.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.
Così deciso il 14/11/2016.